Il Festino

Palermo, fin dal 1625, festeggia ogni anno il trionfo della sua patrona, Santa Rosalia. Un’importante festa popolare nota come il “festino” poiché esso è considerato “a granni festa”, la grande festa, si svolge per cinque giorni, dal 10 al 15 luglio, e rappresenta il momento più alto dell’espressione popolare delle tradizioni e del folklore palermitano.


Nel 1624 la peste decimava Palermo e non era stato trovato alcun rimedio per arrestarla. Vano fu anche il ricorso alle quattro Sante cui era affidata la protezione della città (Agata, Cristina, Oliva e Ninfa) ed ai Santi Sebastiano e Rocco che erano ritenuti specialisti in guarigioni da peste bubbonica. In occasione di tale pestilenza Rosalia apparve in visione ad un cacciatore indicandogli il luogo in cui giacevano le sue spoglie ed invitandolo ad andare dalle autorità ecclesiastiche e riferire che la peste sarebbe cessata solamente portando le sue reliquie in processione attraverso la città.

Ben poco si conosce di Rosalia, tranne che nacque a Palermo nel XII secolo dalla famiglia Sinibaldi, nobili della corte normanna e feudatari delle Madonie e che visse a Palermo alla corte della regina Margherita, moglie di Guglielmo I di Sicilia consacrandosi fin dalla sua giovinezza a Gesù Crocifisso. La tradizione racconta che Rosalia, scegliendo la penitenza eremitica, si ritirò sul monte Pellegrino, avuto in dono dalla regina.

Il giorno 15 luglio del 1624 il cardinale Doria, sollecitato dalla popolazione, autorizzò la processione ed in pochi giorni la città venne liberata dalla peste. Dal 1625 la Chiesa autorizzò il culto, anche se Rosalia venne proclamata santa soltanto il 26 gennaio 1630. In segno di riconoscenza per tanto beneficio, il Senato palermitano si votò alla nuova Santa (“Santuzza", come i palermitani la chiamano affettuosamente) e decretò che in suo onore, ogni anno, i giorni della liberazione fossero ricordati come il trionfo della Santa, nel frattempo divenuta protettrice della città.
In segno di riconoscenza per tanto beneficio, il Senato palermitano si votò alla nuova Santa e decretò che in suo onore, ogni anno, i giorni della liberazione fossero ricordati come il trionfo della Santa, nel frattempo divenuta protettrice della città.
L’anno successivo, il 1625, per ricordare il ritrovamento dei resti mortali della vergine eremita, questi furono riposti all’interno di uno scrigno, costruito per l’occasione da alcuni maestri argentieri e vetrai, con l’interno rivestito di velluto di color rosso gentile. Le spoglie, così adornate, furono trasferite dal Palazzo Arcivescovile alla cattedrale, percorrendo alcune strade del centro tra il gran tripudio popolare che, con il passare degli anni, fece sì che la festa diventasse sempre più solenne.
Da allora a Palermo la santa è festeggiata dal 10 al 15 di luglio in tutta la città con innumerevoli momenti che mettono in evidenza la liberazione della città dalla peste, la festa si conclude con la solenne processione per le vie della città della preziosissima urna argentea contenente le reliquie dell'amata "Santuzza".

Il “festino” è ricco di manifestazioni culturali, spettacoli pirotecnici e naturalmente una solenne processione. Per le vie del centro storico di Palermo i cantastorie intonano i canti della tradizione popolare, che celebrano i natali della "Santuzza" e la leggenda del suo eremitaggio nella grotta sul monte Pellegrino, presso Palermo.
Si sparano mortaretti sin dal primo mattino con le cosiddette alborate e le campane delle tante chiese del centro suonano a festa, i rintocchi della campana senatoriale del palazzo pretorio proclamano il nuovo giorno festivo.

La preparazione al festino inizia alcune settimane prima del mese di luglio: molto tempo si dedica ai lavori sul carro trionfale (vedi a fondo pagina), utilizzato per la processione del simulacro e divenuto da secoli l'attrattiva principale del festino.
Nel 1859 questa tradizione dal nuovo governo sabaudo per essere ripristinata nel 1896 su iniziativa di G. Pitrè nel 1896 e poi nel 1924 (in coincidenza del trecentesimo anno dal ritrovamento delle spoglie della Santa). Dal 1924 la processione riprese soltanto nel 1974, e tuttora si ripete.
Oggi la “Santuza”, sul carro trionfale, viene portata in processione lungo il Cassaro (corso Vittorio Emanuele) da Porta Felice fino a Palazzo Reale facendosi strada a stento fra un vero fiume di folla che la avvolge e la pressa, fra una la miriade di luminarie multicolori al grido di “Viva Palermo e Santa Rosalia “!
Lungo Foro Umberto I (noto come Foro Italico) si svolgono concerti, spettacoli pirotecnici e una coloratissima fiera ricca di bancarelle che vendono calia e semenza, caramellato, torrone alle mandorle, gelato di campagna, in un intermezzo di bande musicali.
Tutta Palermo accorre in quel luogo per assistere ai tradizionali “botti”, (fuochi d’artificio) che si concludono con la fatidica “masculiata” che mette fine alla parte laica dei festeggiamenti.

Secoli fa il gran simbolo della festa erano proprio i fuochi di gioia, preparati su macchine alte e maestose che erano date alle fiamme; qui il fuoco svolgeva la sua azione purificatrice. (Queste macchine infernali, apparati scenografici di grande effetto prospettico simulanti architetture irreali, furono utilizzate a Palermo intorno al 1650 ed erano state progettate da illustri architetti del Senato come Paolo Amato e Nicolò Palma)
Per il Palermitano “festino” significa anche soddisfare il piacere per il cibo e dei dolciumi in particolare. (un modo particolare per gratificare e onorare la Santa).
Il Foro Italico è un susseguirsi di coloratissime bancarelle sulle quali troneggia l’effige della Santa e dove si consumano quintali di “Scacciu” (calia e simienza ovvero ceci abbrustoliti e semi di zucca salati), sfincione e sfincionello, "bummuluna", e “gelato di campagna” (sorta di torrone tenero con i colori del tricolore) ed ancora panelle e pane “ca’ meusa”.
E’ cosa sarebbe il Festino senza i “babbaluci vugghiuti (lumache) e u’ muluni”? Caratteristica la palpazione del “muluni” dalla parte del deretano per verificarne la maturazione.
Il quinto e ultimo giorno del “Festino” è dedicato alla parte religiosa (vedi funzione religiosa)



Carro trionfale – Introdotto per la prima volta nel 1686, è l’emblema del trionfo riferibile all’antico trionfo romano, sorto per conferire la ricompensa più onorevole ad un supremo condottiero che avesse riportato una grande vittoria.
Il riferimento è chiaro: La "Santuzza” si era prodigata tanto per la sua città e, a dimostrazione della gran venerazione, doveva essere considerata una regina ed essere portata in trionfo.
Si trattava di una macchina scenica baroccheggiante che simulava un vascello decorato con pitture raffiguranti gli episodi della vita della Santa, con puttini e figure metaforiche.
Esso trasportava musici e cantori e su un piedistallo posto sopra il castello di poppa trionfa la statua della Santuzza, con in mano il vessillo del comune di colore rosso e giallo. Era trainato da quaranta muli riccamente bardati, sostituiti da buoi negli anni successivi.
Quattro grandi ruote muovono il galeone che percorre l’antico Cassaro (Corso Vittorio Emanuele). Il telaio portante è costituito da strutture metalliche ed è assemblato in parti facilmente smontabili per permettere di essere riutilizzato per ulteriori festini.
All’assemblaggio partecipano gli scenotecnici del teatro Massimo di Palermo, completando l’opera con la tinteggiatura con colori acrilici che imitano l’oro.
Questo simbolo monumentale ha una storia antica che risale al 1686, quando venne costruito per la prima volta con legno e cartapesta; da allora il carro della Santuzza fu realizzato ex novo, di anno in anno, su progetto di diversi artisti, fino al 1859 quando la tradizione fu interrotta il nuovo governo sabaudo voleva che si dimenticassero i fasti del vecchio governo borbonico.
Nel 1896 il carro fu ricostruito, su proposta di Giuseppe Pitrè, sul modello dell’anno 1857. Era una macchina smisurata per quel periodo: larga quattordici, lunga ventidue e alta trenta metri. E infatti, data la sua mole, non fu in grado di discendere il Cassaro e si limitò a percorrere le vie Libertà e Ruggero Settimo spingendosi sino alla Piazza Verdi, dove sostò per la durata del festino.
La tradizione, nuovamente interrotta, fu ripristinata nel 1924 in occasione del terzo centenario dal ritrovamento delle spoglie della Santa. Fu realizzato allora un carro alto venticinque metri, lungo venti e largo dieci con centinaia di lampadine elettriche di differente colorazione lo rendevano sfavillante. Al suo interno celebrò la messa trionfale il Cardinale Luardi, con la partecipazione di una immensa folla di fedeli.
Altri 50 anni di interruzione della tradizione, fino al 1974, anno in cui il comune di Palermo fa le cose in grande: il ritorno al classico. La nuova gigantesca macchina d’imitazione settecentesca ha una lunghezza di nove metri e larga sei e ha un’altezza di circa dieci metri; per ben due volte il carro discende il Cassero, per sostare nel terrapieno del Foro Italico.
Da allora i carri che si ripropongono di anno in anno in forma più scenografica pur nel rispetto della tradizione.






La funzione Religiosa.
La mattina del 15, l’Arcivescovo di Palermo celebra il Solenne Pontificale alla presenza delle varie Autorità civili e militari, l’autorità Senatoriale cittadina con il suo Sindaco rinnova il patto di fede contratto con la venerabile Santa sin dal lontano 1625, anno del rinvenimento delle sacre ossa.
Fulcro delle celebrazioni, questa volta, è l’urna argentea contenente le sacre reliquie, conservate durante tutto l’anno nella cattedrale accanto all’altare maggiore.
Quest’arca monumentale, realizzata nel 1631 dagli argentieri palermitani su disegno dell’architetto del Senato Palermitano, Mariano Smeriglio, venne a sostituire l’originaria, realizzata per l’occasione dei festeggiamenti del primo “festino” del 1625, per dare una sistematica posizione alle 27 reliquie. Queste, ricoperte di cotone idrofilo e riposte in un cofanetto rivestito di velluto rosso, vennero introdotte all’interno del nuovo reliquiario a sarcofago che nello stesso tempo divenne un apparato atto all’uso processionale. Ad essa fu conferita una semplice forma rettangolare, suddivisa in tre parti: la base, un corpo centrale e la copertura apicale.
La base, con ai quattro spigoli dei putti alati nudi, in posizione eretta, che utilizzano una mano per sorreggere l’urna mentre con l’altra impugnano uno scudo nel cui campo vi è cesellato il classico simbolo della Santa: la rosa. Su entrambi i fianchi si stagliano due aquile cinte di corona (emblema della città di Palermo) con le ali spiegate, e con gli artigli sorreggono un gran cartiglio dove sono trascritte alcune dediche dell’allora Arcivescovo G. Doria e del Viceré Filippo IV.
Il corpo centrale dell’arca è il sarcofago in cui è contenuta la custodia con le reliquie. Esternamente, su ognuna delle quattro facce vi è un quadro scenografico in cui sono raffigurate scene della vita di Santa Rosalia.
La parte apicale termina con una statuetta della Santa in abiti monacali e con sul capo la caratteristica corona di rose, nell’atto di schiacciare un drago.
Tale capolavoro, opera di un’equipe d’artisti, costò al Senato palermitano 8.321 onze e per la cassa furono adoperati 412 kg. d’argento purissimo.
Anticamente era trasportata a spalle da 62 confrati della Pia Congregazione di Maria SS. Annunziata, della categoria dei fabbricatori (tale privilegio fu acquisito, secondo la tradizione, per via del notevole peso dell’urna e della forza che era necessaria per sollevarla: e a quell’epoca solo i Muratori ne avevano i requisiti). In un secondo tempo la confraternita prenderà il nome “di Santa Rosalia” per via dell’aggregazione di altre confraternite, avvenuta nel 1911.
Al presente la confraternita ha la sede nella chiesa dei Quattro Coronati al Capo. I capitoli stilati all’epoca fanno obbligo ai confrati si condurre in processione la preziosa urna della nostra concittadina Santa Rosalia fin dal lontano 1750.
I confrati e le consorelle vestono un abitino nero bordato di blu, sul cui dorso presenta una placca rappresentante Santa Rosalia, e celebrano la loro festa la prima domenica di settembre portando in processione un simulacro ligneo dell’Eremita intagliato da Giuseppe La Rizza nel XIX secolo.
Alla processione partecipa, per diritto acquisito, la confraternita di Santa Rosalia dei Sacchi costituitasi nel 1635 per volontà del sacerdote Giuseppe Bonfante, dietro approvazione del Cardinale Giannettino Doria Essa era formata dalla categoria dei varberi e scarpari i cui capitoli furono approvati dalla Curia nell’agosto 1636. Prerogativa della confraternita, è di essere votata al culto della Santuzza, fin dal momento in cui furono portate in corteo al Palazzo Reale l’urna di Santa Cristina e il dipinto con Santa Rosalia. Quest’ultimo era, e lo è ancora, posseduto dai Gesuiti di casa Professa, ed era condotto in processione da quattro uomini che indossavano un vestito di sacco e dipinto.
Dall’abbigliamento adottato nacque la denominazione della confraternita; i confrati per un lungo periodo continuarono ad indossare un sacco di tela “naturale” e sulle spalle reggevano un mantello di “lanette” che recava una croce bianca con in mezzo un’effige di Santa Rosalia. Questa veste fu indossata durante celebrazioni particolari. I tempi più recenti anch’essi hanno adottato un abitino nero bordato di blu e, dopo vario peregrinare, hanno stabilito la loro sede nella chiesa di Santa Maria della Pietà alla Kalsa. La seconda domenica di settembre festeggiano la Santa.
Partecipare al corteo, in passato, era quasi un obbligo di tutte le corporazioni. Trattandosi della Patrona della città, esse, oltre ad essere rappresentate fisicamente, conducevano grossi ceri e vari stendardi ed era consuetudine portare con sé i fercoli (le “vare”, appunto) con le statue dei propri Santi. Esse partecipavano secondo un ordine di progressione emanato dal Senato strettamente legato alla processione di Santa Rosalia.
L’avvenimento richiama molto popolino, i devoti aspettano con ansia il passaggio dell’urna, perché ognuno, nell’intimo, ha qualcosa da chiedere alla Santa, e la folla sui balconi è sempre pronta ad omaggiarLa con petali di rosa.
Per onorare il transito dell’urna, si dispose, nei tempi passati, di organizzare delle temporanee architetture, drappi, altari e paramenti d’ogni sorta: Queste venivano commissionate da civili che intendevano ornavano i loro palazzi, che si affacciavano sul percorso della processione, con rivestimenti di tessuti pregiati. A ciò contribuivano anche vari altri ordini religiosi e le Nazioni presenti a Palermo.
Ancora una volta la processione prende il via dall’ingresso principale della chiesa Metropolitana e si snoda lungo la più antica arteria della città, ripercorrendo l’itinerario che presumibilmente le reliquie della Santa compirono al loro rientro a Palermo dal Pellegrino, allorché la loro presenza fece miracolosamente cessare l’epidemia di peste. Accompagnano la processione canti di devozione in rima:

Uno. Notti e ghiornu farìa sta via!
Tutti. Viva Santa Rusulia!
U. Ogni passu ed ogni via!
T. Viva Santa Rusulia!
U. Ca nni scanza di morti ria!
T. Viva Santa Rusulia!
U. Ca nn'assisti a l'agunia!
T. Viva Santa Rusulia! ...
U. Virginedda gluriusa e pia
T. Viva Santa Rusulia!

Santa Rosalia - La tortuosa strada che porta sin sulla sommità del Monte Pellegrino ad un tratto si amplia sino a divenire una piazza costellata da bancarelle colorate oltre che da rivenditori di specialità gastronomiche tradizionali siciliane. Una lunga scalinata si diparte da questa piazza sino ad un piccolo tempietto di cui si scorge soltanto la facciata in quanto è interamente scavato nella roccia. Il Santuario di Santa Rosalia è stato allestito nella grotta dove la santa visse e morì in eremitaggio e si può definire l’emblema della cristianità palermitana.
Non è rappresentativo di uno stile architettonico ma la singolare ubicazione e l’atmosfera che si respira al suo interno lo rendono unico nel suo genere.
Ricolmo di preziosi ex voto donati dai fedeli a testimonianza dei miracoli compiuti, è meta di pellegrinaggio durante il "Festino della Santuzza", che si svolge lungo l’antica strada edificata intorno al diciottesimo secolo.

La riconoscenza della città avviene ogni 15 luglio e 4 settembre, date che commemorano la data di ritrovamento delle reliquie e della sua morte.